giovedì 16 febbraio 2017

Recensione: Ashworth di Charlotte Brontë

Ashworth di Charlotte Brontë
(Five Yards Vol. 3 - flower-ed - 2017, 116pp)

Nel 1839, Charlotte Brontё, dopo aver dato il suo addio ad Angria, il ciclo di racconti che sin dalla tenera età aveva imbastito insieme al fratello Branwell e in seguito proseguito da sola, - un mondo fantastico nel quale i destini di uomini valorosi s’intrecciano a quelli di donne bellissime e frivole - iniziò a scrivere un romanzo: Ashworth. Un’opera purtroppo considerata incompiuta perché ne sono stati rinvenuti solo quattro capitoli in cui sembra che Charlotte abbia trasferito alcuni dei protagonisti della calda Angria, dai quali faticava a staccarsi, in una fredda ambientazione inglese. Ciò è evidente soprattutto quando incontriamo Ashworth padre e scopriamo la sua vita altalenante tra ricchezza e dissoluzione. Dal secondo capitolo in poi però, quando la scena si sposta sulle donne e nella scuola dove studiano, nonostante la riproposizione di un modello di protagonista viziata e aristocratica quale Amelia De Capell, si può notare un barlume della futura eroina brontёana nella figura di Mary Ashworth, figlia del suddetto protagonista; una ragazza sì ricca ma sola, orgogliosa ma considerata buona e generosa. A tal riguardo ho trovato molto bella la scena del dormitorio che Charlotte descrive tra Mary ed Ellen Hall, un’allieva povera costretta a lavorare per studiare.
Molto probabilmente Ashworth non era destinato a diventare un grande romanzo, anche se fosse stato completo, ma in questi pochi capitoli, tra tentativi di migliorarsi e superare quel mondo fantastico a favore di una narrazione basata sul vissuto, ho avuto conferma della capacità dell'autrice di avviare un intreccio sempre valido, che spinge a proseguire nella lettura. Inconfondibile è, anche nelle pagine di Ashworth, quel suo appellarsi al lettore, quasi scusandosi se non approfondirà aspetti che ammette di non conoscere perché condizionata dalla sua scarsa conoscenza del mondo. 

Avrei voluto che la storia continuasse presentendo che nonostante lo stile ancora acerbo e la zavorra “angriana” di talune descrizioni, non mi avrebbe deluso, ma purtroppo essa muore all’alba e non mi resta che immaginare, con un pizzico di amarezza e al tempo stesso di piacevole sospensione, come sarebbe andata. Oppure posso azzardare un paragone basato principalmente sulle sensazioni tra Ashworth, che consiglio alle appassionate brontёane, e i romanzi compiuti della maturità, perché in Mary Ashworth per un attimo mi è sembrato di scorgere la scintilla che anima l’indomabile Shirley e nel dormitorio della scuola, dove la incontriamo per la prima volta, mi ha ricordato Lucy Snowe di Villette che sarebbe venuta fuori dalla penna di Charlotte molti anni e sofferenze dopo.

"Il più felice tra noi ha la propria camera interna oscurata con le tende a nascondere qualche pena il cui ricordo annuvola le luci della nostra vita."


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