torno ad aggiornare il blog con una recensione giacché sto recuperando alcune letture su e dei nostri amati Brontё e ho piacere di condividere con voi le mie impressioni. Oggi è la volta di E come un sogno la vita vola - Lettere 1835 -1848 di Patrick Branwell Brontё, tradotto e curato da Alessandranna D'Auria, autrice anche del bel saggio che segue l'epistolario, ed edito da Flower-ed nel 2017, anno del bicentenario della nascita di Branwell Brontё.
“Sento che la mia guarigione dalla quasi alienazione è ritardata dal non aver niente da ascoltare eccetto i lamenti del vento tra vecchi camini e alberi secchi, niente da guardare eccetto le colline di erica attraversate quando la vita aveva tutto da me da sperare e niente di che dolersi.”
Tutto ebbe inizio con una scatola di soldatini… gli amanti delle sorelle Brontё non possono non conoscere la storia di quei pezzetti di legno che un giorno, nella prima metà del 1800, in una canonica dello Yorkshire che affacciava sulla brughiera battuta dal vento, il reverendo Patrick Brontё regalò al suo unico figlio maschio, Branwell, e che, nelle sere d’inverno accesero la fantasia di quest’ultimo e delle sue tre sorelle, Charlotte, Emily e Anne, passate alla storia, anni dopo, come famose scrittrici. Quel bambino dai capelli rossicci, quell’unico maschietto in una nidiata di femmine, il proprietario di quei soldatini che innescarono un mondo di storie e di parole, fu l’unico che, da grande, nonostante il forte desiderio di un posto nell’Olimpo della letteratura, non riuscì ad affermare il talento, che, al pari delle note sorelle, aveva.
“Ho vissuto tra colline isolate, dove non ho capito che cosa sono né cosa sono in grado di fare.
La ragione per cui leggo è la stessa per cui mangio e bevo, perché è un desiderio naturale. Ho scritto per lo stesso principio per cui si parla – per impulso e sentimento, non potevo farne a meno, perché ciò scaturisce dal mio essere.”
Dello sfortunato e tormentato fratello Brontё il lascito più grande è forse proprio quel ritratto delle sorelle dal quale cancellò la propria immagine, ma di lui restano anche poesie malinconiche, racconti del tempo di Angria (il ciclo giovanile che scrisse a quattro mani con Charlotte) e una raccolta di quarantatré lettere che nell’edizione Flower-ed ritroviamo divise in cinque sezioni, seguite da un approfondimento della stessa traduttrice, Alessandranna D’Auria.
“Non dovrei restare troppo a lungo da solo, perché il mondo dimentica presto quelli da cui si è accomiatato.”
Le prime epistole, quelle della speranza intatta, sono rivolte a chi a quel tempo faceva parte del mondo dell’arte o della letteratura, come quelle indirizzate all’editore del Blackwood’s Magazine, per chiedere, con il tono di chi si aggrappava ai romantici sogni di una letteratura seria e quasi come se gli spettasse, un posto come collaboratore. Lettere che portano alla luce una conoscenza classica ma che non ebbero mai una risposta. La maggior parte di esse, però, sono indirizzate ai due amici più cari di Branwell, lo scultore Joseph Bentley Leyland e A. Francis H. Grundy, che lo definì “solo un uomo in mezzo alla nebbia”, nelle quali, con il progredire del tempo e dunque delle date, riscontriamo i segni del disfacimento di una vita in lotta con se stessa e con il mondo.
“Notte e giorno non mi sovvengono opere degne di essere lette. Tutto è ancora con me, nuvole e oscurità.”
Lettere che, come piccole pietre miliari, ne percorrono la vita, gli sforzi e infine la resa. Il carico delle attese familiari sulle sue fragili spalle, le possibilità esigue, la vocazione per la pittura e la scrittura che non trovava un terreno fertile in cui crescere e svilupparsi, il non sentirsi adatto a nessun tipo di lavoro a causa della fragilità del suo temperamento e del suo fisico. L’essere nato e vissuto in un luogo che quasi nulla aveva da offrire, tra gente semplice e rozza.
“Desidero (…) dimenticare per mezza giornata quell’amabile società alla quale sono condannato e in cui non ho mai sentito una parola più musicale del raglio di un asino.”
Tutto nei suoi trentuno anni di vita sembrò fiaccarlo, ogni svolta deluderlo, contribuire a perderlo nonostante ogni iniziale buona intenzione di riuscire. Le sue sono lettere che ho apprezzato, che mi hanno fatto compatire questo giovane passato alla storia come il reietto della famiglia, ma che in realtà era solo un altro uccellino nella gabbia, quello forse dalle ali più fragili ma dal quale, per convenzione sociale e sesso, ci si aspettava che lasciasse il nido con il volo più lontano. Un volo che tentò svariate volte, mosso dal dovere come dalle sue passioni ma per ritrovarsi ogni volta tristemente al suolo.
"L'alba del mio giorno è molto lontana dalle continue ombre del mattino."
"Cosa farò non lo so - sono duro a morire e troppo miserabile per vivere.
La mia miseria non è un castello per aria, ma una dura realtà. (...) Potrei essere felice se Dio mi prendesse.
Nel prossimo mondo non potrei essere peggiore di quanto lo sia qui."
Segue, completa e spiega il vuoto tra una lettera e l’altra l’esauriente saggio della D’Auria intitolato Un grande desiderio di azione, espressione che ricorda quel desiderio di un paio di ali che possiamo ritrovare nell’epistolario di Charlotte. In esso l’autrice ci spiega le fragilità di Branwell, i suoi aspetti più personali, ci fa notare come si esprimesse sin da giovanissimo come un uomo alla sua ultima occasione, ci mostra il suo lato oscuro e la disillusione.
“Chi è senza speranza sa che l’orologio è alla mezzanotte e non può comunicare i suoi sentimenti a chi ha il suo puntato a mezzogiorno.”
E ci porta con mano, attraverso fonti e testimonianze, a comprendere come cadde nella dissolutezza a causa di un amore impossibile nei confronti di una donna più grande e sposata, e poi nella trappola del bere e dell’oppio che accompagnarono gli ultimi tre disperati anni della sua vita e che lo portarono precocemente alla tomba, come a compimento di un destino da poeta romantico e maledetto, il solo che forse Branwell sognò davvero.
Di una lenta agonia sto già morendo
e sento già le spiagge ritirarsi,
l'ultimo raggio della sera indugia
e via svanisce dal mio fosco cielo.
Patrick Branwell Brontё
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